Quando cammino

Non credo sia difficile avvicinarsi a marzo. È un mese che assomiglia a una finestra semi aperta. Si scruta da lì il cambiamento d’aria che arriva a strofinare e ossigenare gli attimi, i momenti e anche le emozioni che, solitarie, girano per dentro. Si rilasciano da quello spiraglio i sedimenti, gli spazi fermi che aspettano vento nuovo a far germoglio.

Queste suggestioni che mi vengono in mente quando la mattina apro realmente la finestra e mi soffermo qualche istante a respirare, a sentire l’inspiro, a sentire l’espiro. Le due forze opposte che in sinergia ci governano, ci lasciano quello che serve e permettono a un organismo complesso come il nostro di procedere ed essere vitale.

È in questo periodo che una lieve frenesia inconscia si dipana con forza portandomi a camminare più del solito cercando alberi, prati e spunti microscopici.

Attingo esempi dalla Natura e li trasporto come similitudini in ogni lezione di yoga. Sono eccezionali per far emergere l’intenso legame che esiste tra essere umano e ambiente naturale.

Ogni volta che vedo un germoglio nuovo immagino di respirare quella stessa forza che arriva dal profondo, da piante che sembrano inermi e mute ma che invece sono solo in attesa. Coltivano in loro capacità reattive e risorse che si vedranno sbucare come punta di iceberg, il cui fermento è interno e naviga nell’invisibile.

È come la nostra interiorità, lì nel profondo rimane in attesa, di occhio attento, di cura, di essere vista.

Che se la noti c’è.

Ma c’è anche se non la noti.

L’attesa è una risorsa da rivalorizzare.

Cercare metodi per germogliare comunque è un grande privilegio dove la ricerca vale più dello scopo.