Tre domande

Un messaggino in dm e Consuelo Nespolo che mi chiedeva se volessi rispondere a tre semplici domande per il suo giornale #laltrogiornaleverona in occasione della rassegna Soavecultura che si sta svolgendo in questi giorni. Le ho lette con attenzione. Erano semplici ma impegnative. Ci ho pensato alcuni giorni lasciando bollire la testa tra le parole. Poi una sera, a notte fonda, ho risposto.Oggi è uscito l’articolo e volevo dire grazie alla gentile giornalista che mi ha lasciato il tempo di rispondere attraverso la scrittura, cosa che amo particolarmente. ♡

》Ti senti più roccia o più fiore?

Sentirsi è la parola più adatta e sulla quale vorrei focalizzarmi per rispondere. La roccia e il fiore potrebbero rappresentare due lati della stessa medaglia. Siamo metamorfosi continue, sussulti di bilanciamento ed equilibri in continua oscillazione e per questo preziosi e delicati. Sentirsi, ascoltarsi e riuscire a venire incontro a se stessi sono chiavi di lettura per auto-darsi una mano. Siamo esseri più naturali di quello che pensiamo. Ci ritroviamo rocce dure e inavvicinabili, spigolose e rudi. Sappiamo bene che abbiamo anche lati diversi, docili, comprensivi, fragili e vivaci. Ma se non sappiamo coglierli e non poniamo attenzione nell’ascoltarci rimaniamo scatole asettiche. Trovo negli opposti uniti la bellezza dell’esistenza. Proprio come una pianta che per crescere ha bisogno di diversi elementi a volte contrapposti tra loro: semi, vento, acqua, pioggia, sole, terra e pazienza. L’importante è lasciarci fiorire senza trattenere e saper chiedere aiuto quando è necessario.

》》 Quando hai pubblicato il libro hai provato la sensazione di esserti rivelata troppo? Oppure ritieni che raccontarsi sia edificante per chi scrive e chi legge?

Ho raccontato una malattia oncologica di cui si parla poco ma è molto spietata. Ci ho pensato molto. Soprattutto mi sono posta degli interrogativi su come si potesse raccontare la sofferenza in modo delicato e sostenibile per il lettore. È stato un percorso prima di tutto introspettivo. Fino all’ultimo non sapevo se quelle pagine le avrei mai pubblicate. Mi sono data il tempo di procedere un passo alla volta, come mi piace fare in montagna, senza mai guardare la cima. Mi ero accorta che dopo la malattia del 2017, un tumore al colon, non ero più in grado di riconoscermi nel mio corpo. Lo vedevo raccapricciante e mi ero paurosamente allontanata da lui anche se era tornato a stare bene. Non mi riconoscevo nella me fragile, vulnerabile e piena di paure. Sono stata tenace e ho affrontato quello che sentivo. Sono riuscita a farlo parlare. Avevo con me delle risorse è vero: la mia famiglia, lo yoga, la montagna e dei validi professionisti. Ma la spinta più impellente era una strana e perspicace voglia di risolvere.

Da lì il passo alla scrittura incisiva è stato breve e naturale. Ho trovato in questo mezzo espressivo un canale preferenziale che mi faceva stare a mio agio nel raccontare, complice anche la mia indole schiva. Dopo diverse pagine angoscianti e dolorose il libro ha preso una rotta inaspettata: è uscita la forza della rinascita, la prorompenza del non demordere, la curiosità della fiducia creativa. Quando tutto intorno a noi sembra distruggersi non ci resta altro che creare. Ogni vita è un racconto. La sofferenza un linguaggio universale perché nessuno ne è esente. Ecco che raccontarla diventa allora veicolo di messaggi importanti che possono dare sollievo, lenire, ma anche fare da collante e avvicinare le persone invece di disgregarle.

》》》 Hai già in mente la tua prossima pubblicazione?

Continuo a scrivere molto spesso. La scrittura per me è terapia e mi allevia l’ansia. Ho scoperto che muovere la mano sul foglio oppure digitare velocemente sulla tastiera sono per me fonti di decongestionamento degli stati emotivi più irrequieti. Pensare a un altro progetto strutturato per adesso è prematuro. Scrivere un libro è un viaggio particolare. Vieni assorbito in una dimensione parallela dove non si vedono né stanchezza né bisogni. Una trance meditativa complessa e avvolgente, che deve essere appunto concentrata in un periodo. Diventa talmente assoluta per la propria crescita interiore che una volta conclusa bisogna darsi il tempo di recupero, come quando si allentano i muscoli.

Marianna Corona